Reati contro il patrimonio. L’usura
586
post-template-default,single,single-post,postid-586,single-format-standard,bridge-core-2.5.9,qode-quick-links-1.0,qode-page-transition-enabled,ajax_fade,page_not_loaded,,qode-title-hidden,qode_grid_1300,hide_top_bar_on_mobile_header,qode-content-sidebar-responsive,qode-theme-ver-28.8,qode-theme-bridge,disabled_footer_bottom,qode_header_in_grid,wpb-js-composer js-comp-ver-6.4.2,vc_responsive
Reati contro il patrimonio. L’usura

Reati contro il patrimonio. L’usura

Nella descrizione contenuta nell’originario art. 644 del Codice penale, il delitto di usura consisteva nel farsi dare o promettere, approfittando dell’altrui stato di bisogno, interessi o altri vantaggi usurari come corrispettivo di un prestito di denaro. Una volta chiarito che la norma alludeva a un bisogno di carattere economico, risultava difficile, però, inquadrare  le concrete situazioni di vita che soddisfacessero il requisito.

La giurisprudenza definiva lo stato di bisogno come una situazione che elimina o comunque limita la volontà del soggetto, il quale decide di contrattare in condizione di inferiorità psichica che condiziona la sua volontà. Non era importante che la situazione di bisogno fosse stata prodotta da una condotta colpevole dello stesso usurato, come ad esempio aver contratto debiti di gioco.

Non si riteneva necessario, comunque, che la libertà di scelta del debitore risultasse totalmente annientata, identificandosi lo stato di bisogno in un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo avesse indotto ad accettare le condizioni usurarie.

L’eccessivo soggettivismo imposto dalla descritta lettura della norma indusse alla ricerca di criteri più oggettivi, seppure  anche  su questo piano emersero delle difficoltà. Lo stato di bisogno venne individuato, in questa prospettiva, in una difficoltà a soddisfare una serie di diritti  riconosciuti ai cittadini dalla Costituzione, per i quali, tuttavia, non sono stati approntati  strumenti adatti a renderne effettivo il godimento: dunque «i bisogni relativi a fondamentali esigenze della vita, alla professione o al mestiere esercitato, ai rapporti sociali, alla conservazione del patrimonio, alla tutela dell’onorabilità».

In definitiva, attraverso il richiamo alla formula sintetica della usurarietà dell’interesse, insieme alla previsione del requisito dell’approfittamento dell’altrui stato di bisogno, il legislatore del 1930 aveva dato ingresso a una concezione dell’usura intesa come sfruttamento da parte dell’autore di una altrui posizione di debolezza.

Quando, sullo sfondo di tale scenario, nel mercato sommerso del credito fece la sua  comparsa la criminalità organizzata,  il legislatore mise mano alle riforme dell’art. 644. Tale fattore fu determinante nel mutamento della fenomenologia dell’usura, dal punto di vista della diffusione del fenomeno, dell’innalzamento della sua “rilevanza criminale”, nonché del sua potenziale interferenza con l’economia legale quale mezzo di riciclaggio di enormi capitali illeciti e di infiltrazione della mafia nel tessuto imprenditoriale sano di intere regioni. Inizialmente venne inasprita la pena (portata da un minimo di un anno fino a cinque anni, oltre alla multa da sei a trenta milioni di lire): l’aumento della pena determinò l’attrazione dell’usura fra i reati di competenza del tribunale (in precedenza la competenza apparteneva al pretore) e, di conseguenza, l’assegnazione delle indagini relative ai procedimenti aventi a oggetto imputazioni d’usura agli uffici della procura già competenti a indagare sui reati di criminalità organizzata. Venne poi introdotto nell’art. 644 un terzo comma, che prevedeva un’aggravante per il caso in cui i fatti di usura fossero stati commessi nell’esercizio di un’attività professionale o di intermediazione finanziaria.

In un vero e proprio clima di “emergenza usura”  a distanza di pochissimi anni dall’intervento precedente fu approvata dal Parlamento a Camere “sciolte” la L. 7.3.1996, n. 108, recante “Disposizioni in materia di usura”. La riforma si propose, questa volta, come un intervento globale di contrasto all’usura, che affiancò alla innovazione della disciplina penale l’introduzione di un vero e proprio apparato di previsioni normative di contrasto al fenomeno: dalla previsione della possibilità di ricorrere alle intercettazioni telefoniche e ambientali nei procedimenti per imputazioni di usura all’ampliamento delle ipotesi di confisca, dalla predisposizione di un fondo dedicato ad incentivare la prevenzione e di uno dedicato al sostegno delle vittime alla introduzione di norme civili aventi carattere sanzionatorio o preventivo.

Nella riforma compare una figura di reato incentrata esclusivamente sul superamento di una soglia legalmente stabilita di usurarietà dell’interesse nel prestito di denaro, novità assoluta nel panorama del nostro ordinamento.

La norma attuale, infatti, punisce colui che si faccia dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari come corrispettivo di una prestazione di denaro o d’altra utilità, a prescindere, ora, dall’approfittamento dello stato di bisogno di una persona. Il terzo comma dell’attuale testo dell’art. 644, poi, prevede che “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”.  La seconda parte del comma terzo dell’art. 644 stabilisce che “sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro”. L’individuazione del limite oltre il quale l’interesse è usurario avviene attraverso un  meccanismo delineato dall’art. 2, L. 7.3.1996, n. 108.

Quanto alle condizioni di difficoltà economica o finanziaria della vittima, si deve fare riferimento a una situazione di assenza di liquidità o, in senso più ampio, a una compromissione del patrimonio di un soggetto nel suo complesso; entrambe le condizioni di difficoltà possono essere anche occasionali e temporanee.

La pena per i delitti di usura è ora determinata nella reclusione da un minimo di due anni ad un massimo di dieci anni e nella multa da un minimo di cinquemila ad un massimo di trentamila euro.

Dalla condanna per un delitto di usura discende come pena accessoria l’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione quando il fatto sia stato commesso in danno o in vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa.

Infine, alla condanna per i delitti di usura segue la confisca obbligatoria  dei beni che costituiscono il profitto del reato.

Attilio Pinna