Il danno nel reato
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Il danno nel reato

Si deve ritenere che nel reato esista sempre un danno sociale, che consiste nella contrarietà agli interessi dello Stato, o meglio, nel contrasto tra il fatto e gli interessi perseguiti dallo Stato. Da qui, possiamo dire che la ragione dell’incriminazione, attraverso la quale il legislatore proibisce determinati fatti minacciandoli con una pena, risiede nel principio per cui essi impediscono od ostacolano la conservazione ovvero il progresso della comunità sociale.

In linea generale, non possono sorgere dubbi che dal reato derivi anche un danno immediato, ossia il danno costituito dall’offesa dell’interesse particolare (pubblico o privato) protetto dal diritto. Questo tipo di pregiudizio non può mancare nel reato, non solo per la ragione generale che il reato è sempre per sua natura nocivo per l’altrui benessere, ma soprattutto perchè lo Stato, nel proibire con la minaccia della pena un fatto, mira in ogni caso a proteggere determinati interessi. L’offesa dell’interesse o degli interessi tutelati, indicata in passato con l’espressione di <<danno immediato>>, viene indicata ora in generale indicata con la denominazione di <<danno criminale>>, che si distingue da quell’altra specie di danno che si dice <<civile>> o <<risarcibile>>.

La suddetta offesa può assumere due forme, a seconda che il bene protetto dalla norma penale sia leso in tutto o in parte oppure sia soltanto minacciato; per meglio dire, a seconda che si verifichi un nocumento effettivo o soltanto potenziale. Di qui la distinzione fra lesione e messa in pericolo. Nell’omicidio, per esempio, si ha una lesione, perchè viene soppressa la vita dell’individuo; una semplice messa in pericolo invece possiamo vederla nell’attentato contro l’integrità, l’indipendenza o l’unità dello Stato, perchè per l’esistenza di questo reato basta che quei beni tutelati siano semplicemente minacciati.

E’ bene precisare che il <<danno criminale>> non è una conseguenza ulteriore, un danno ulteriore causato dal reato,  ma ne costituisce il vero e proprio contenuto. Riprendiamo il delitto di omicidio: il fatto materiale punibile, consiste nella morte di un uomo provocata da un altro uomo. Ebbene, è la stessa morte di un uomo, dal punto di vista del diritto, a rappresentare un danno, ovvero l’avvenimento dannoso è uno soltanto e proprio questo, e non una modificazione del mondo esteriore quale conseguenza della morte di un uomo. Si deve aggiungere anche che  il danno senza dubbio presuppone in ogni caso un avvenimento naturale, il quale, per ritornare al reato di omicidio, consiste in un risultato dell’azione umana.

Poichè i legislatori sono uomini, e come tutti gli uomini possono ingannarsi, può accadere che vengano proibiti fatti che in realtà non sono nè dannosi nè pericolosi, come dimostra l’esperienza storica. Pensiamo per esempio alle incriminazioni di un tempo, che ora si giudicano assurde: alla punizione del sortilegio, della negromanzia, dell’eresia e via dicendo. All’ammissione di reati senza danno o pericolo effettivo si deve giungere anche se si considera che la proibizione, e dunque l’incriminazione di un fatto implica spesso un giudizio piuttosto complesso che richiede un difficile bilanciamento di interessi e contro-interessi.

Se giudichiamo i fatti incriminati con occhi indipendenti da quelli del legislatore, possiamo dire serenamente che l’incriminazione, ad esempio, del matrimonio di persone appartenenti a “razze” diverse, riguard in verità reati nè dannosi nè pericolosi. Ciò si verifica soprattutto nei casi in cui l’incriminazione dipenda da particolari direttive sociali del gruppo o dei gruppi che detengano il potere o dai loro interessi politici, specialmente quando si vieta la propaganda di idealità contrarie a quelle del regime esistente, la costituzione di partiti diretti a provocarne un mutamento con mezzi pacifici, ecc.

In conseguenza, non bisogna dire: il reato è sempre un fatto dannoso o pericoloso; bisogna dire: il reato è sempre un fatto che il legislatore reputa pregiudizievole per la conservazione o per lo sviluppo della comunità sociale.

Attilio Pinna