Le cause di giustificazione: l’esercizio di un diritto
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Le cause di giustificazione: l’esercizio di un diritto

In questo articolo parleremo dell’esercizio di un diritto, che rientra tra le cause di giustificazione trattate negli articoli precedenti.
L’art. 51 c.p. stabilisce che “l’esercizio di un diritto (…) esclude la punibilità”. Tale norma risolve il conflitto tra due disposizioni, una che consente il potere di agire e una che lo vieta, dando prevalenza all’interesse di chi agisce esercitando un diritto piuttosto che agli interessi contrastanti.

La ratio della disposizione in questione risiede nel principio di non contraddizione, il quale esclude la possibilità che una norma possa, da un lato, permettere un comportamento e, dall’altro, possa invece vietarlo.
Il concetto di diritto va qui inteso nel suo senso più ampio, cioè come potere giuridico di agire e si riferisce ad esempio al potere soggettivo, potestativo, alla facoltà ecc., mentre restano esclusi dalla nozione gli interessi legittimi e i diritti semplici.

Poiché la disposizione dell’art. 51 c.p. non indica quando la norma su cui si fonda il diritto debba ritenersi prevalente rispetto alla norma incriminatrice, sorge un problema nei casi in cui quest’ultima è prevalente rispetto a quella che prevede il diritto. In questi casi i criteri di soluzione del conflitto tra la norma autorizzativa e quella incriminatrice sono tre:

a) gerarchico (lex superior derogat legi inferiori): la legge superiore prevale su quella inferiore;
b) cronologico (lex posterior derogat legi anteriori): la legge successiva prevale su quella antecedente;
c) di specialità (lex specialis derogat legi generali): la norma speciale prevale su quella generale.

L’esistenza del diritto in astratto non è però sufficiente ad escludere la punibilità, ma è necessario un rapporto di congruenza tra esercizio del diritto e fatto commesso. Questo significa che, affinché un fatto commesso nell’esercizio di un diritto non sia punibile, occorre che la legge consenta di esercitarlo attraverso quella determinata azione che costituisce reato; la condotta dall’agente cioè deve essere tra quelle previste dalla norma attributiva del diritto. In caso contrario subentra un’ipotesi di “abuso” del diritto.

Occorre infine individuare i limiti cui va incontro l’esercizio del diritto, al fine di proteggere altri diritti meritevoli di tutela.
Possiamo distinguere tra limiti interni e limiti esterni.
a) I limiti interni delimitano l’ambito di operatività della norma attributiva del diritto; essi sono stabiliti dalla natura e dalla funzione del diritto esercitato;
b) i limiti esterni si desumono dal complesso delle norme di cui fa parte quella attributiva del diritto.

Nel caso di diritti derivanti da leggi ordinarie i limiti si ricavano dalla fonte dalla quale il diritto ha origine e dal complesso delle leggi dell’intero ordinamento.
Se si parla invece di diritti riconosciuti da norme costituzionali i limiti al loro esercizio non possono scaturire da norme di rango inferiore, per il principio della gerarchia delle fonti. Quindi nell’ipotesi di conflitto tra diritti costituzionalmente tutelati e norme incriminatrici devono prevalere i primi. Un diritto previsto da norme costituzionali può essere limitato solo nei casi in cui tale limite vada a soddisfare altri interessi costituzionali di rango equivalente.

Una delle tipiche ipotesi di esercizio del diritto è il diritto di cronaca giornalistica. Tale attività può talvolta, nel caso di esposizione di fatti lesivi dell’onore e della reputazione di terzi, costituire il presupposto del reato di diffamazione. Ma il diritto di cronaca giornalistica rientra ormai, secondo la giurisprudenza, nell’ambito dei diritti relativi alla libera manifestazione di pensiero, di rango costituzionale. Per questo motivo è ammissibile il ricorso alla scriminante dell’esercizio del diritto di cui stiamo trattando, seppur con i dovuti limiti che consistono in: verità della notizia; interesse pubblico alla conoscenza dei fatti trattati; esposizione obiettiva e serena della notizia.